Un incontro per conoscerci meglio

Estratto dette parole rivolte da Padre Joseph Wresinski agli amici africani Pierrelaye, giugno 1981

” …. la Francia, l’Occidente, tutti i paesi industrializzati si sono lasciati per molto tempo abbagliare dai loto successi economici. Hanno dimenticato che un paese che si arricchisce non è necessariamente un paese che condivide; l’arricchimento della maggioranza non impedisce di lasciare nell’abbandono quelli che sembrano non poter contribuire alla creazione di beni e ricchezze. Si è dovuto lottare per diverso tempo perchè fosse ammessa l’idea di una povertà persistente anche nei paesi più sviluppati. Domani vi parlerò di questa estesa ignoranza, di questa cecità in parte voluta, in parte inconsapevole. Oggi vorrei intrattenervi piuttosto sul nostro volontariato che si impegna a stroncare l’esclusione, a mobilitare le forze vive, che vuole mettere in piena luce le speranze nascoste di un popolo respinto e creare ponti che permettano l’incontro tra questo popolo e i suoi concittadini più favoriti.

Le stesse famiglie povere ci hanno fatto comprendere la necessità e il significato di dare la propria vita agli esclusi. Vi ho già parlato del loro sgomento quando si sono rese conto della gravità degli sconvolgimenti e dei rischi che si presentavano nella loro vita già cosi difficile; quando hanno sentito la necessità di rialzarsi insieme,di uscirne insieme e, ancor più, di andare incontro ad altre famiglie, verso le “cités” povere che non conoscevano, ma di cui sapevano l’esistenza. Le famiglie di Noisy hanno presto capito che bisognava portare anche altre “cités”sul cammino del cambiamento. “Insieme noi saremo forti” cominciavano a dirsi gli abitanti del “Chateau de France”, della bidonville “La Campa”, della “cité d’urgence”, dei baraccamenti malsani curiosamente chiamati la “Cerisaie” ….Diventava evidente che per osare, per credervi sul serio, per unire l’azione alle parole, bisognava avere negli stessi luoghi di miseria, degli uomini e delle donne convincenti per la loro scelta di vita: “Se tu mi accetti, io scelgo di vivere e di camminare al tuo fianco perchè credo in te e non potrei più vivere tranquillo sapendoti schernito e nella sofferenza”. Bisogna sapere che cosa significa essere umiliato, considerato niente di padre in figlio, di madre in figlia, essere obbligato ad accettare quello che i servizi sociali decidono essere buono per te,”per il tuo bene”. E questo, senza mai domandare il tuo parere, senza voler conoscere la tua vera storia e senza mai tirarti dalle difficoltà e renderti autonomo, libero e infine riconosciuto nella tua dignità umana.

Le famiglie più povere sono per definizione, quelle che hanno perduto ogni forma di relazione che dia loro un ruolo, un’importanza per quanto minima, nella vita degli altri. Gli sposi, i padri e le madri di famiglia soffrono di questo destino di rifiuto, di nullità, di quasi totale inutilità rispetto agli altri, nel loro gruppo e nel cuore stesso della loro famiglia. I vicini non possono nulla o, in ogni caso, lo credono. Essi sono di peso l’uno per l’altro, con litigi, con la violenza, il rumore, il disordine.

Non è colpa loro ma tutto ciò finisce per generare nuova miseria vissuta come umiliazione, come un’onta rispetto all’ambiente circostante.

Gli sposi sono di peso l’uno all’altro quando regna la disoccupazione cronica, quando ogni amore sembra vano,perchè sono diventati impossibili i gesti di protezione , verso chi si aura. Anche i bambini sono un fardello, attraverso di loro i servizi sociali ti criticano e ti minacciano: “Se non lavorate, se non cambiate vita, ve li prenderemo”. Le lacrime versate dalle madri del Quarto Mondo che, in Occidente, si sono viste prendere i figli avrebbero potuto formare un fiume, le ingiurie lanciate dai padri avrebbero potuto rimbombare in tutte le nostre ricche società. Eppure non si sono viste colare lacrime, non si sono sentite ingiurie di disperazione. Perchè nei nostri paesi si era avuto cura di ricacciare queste famiglie verso la periferia delle città, dei borghi, dei villaggi. L’esclusione economica e sociale era diventata anche una esclusione fisica, geografica. Le famiglie erano divenute, fisicamente, un mondo a parte. Il termine Quarto Mondo e il nostro Movimento che l’ha messo in onore, sia per denunciare l’esclusione, sia per discolpare le sue vittime e proclamare la loro dignità. Il termine Quarto Mondo diceva bene, e lo dice ancora bene,ciò che significa. Precisava che noi avevamo ricacciato i più poveri dei nostri fratelli verso un altro mondo, là dove non ci avrebbero più ingombrato”.

C’è forse bisogno di provare che famiglie spogliate non solo di beni materiali ma, peggio, di ogni possibilità di rispetto di se, avevano bisogno che altri venissero dir loro: “Voi siete degni di rispetto, voi potete tutto mettendovi insieme; contate su di noi, noi resteremo con voi”?

Evidentemente non era sufficiente dirlo, bisognava provarlo con un alto irrefutabile: quello dell’impegno totale delle nostre vite.

Divenuto oggi un Movimento Internazionale che ha la pratica di andare dove nessuno vuole più andare (perchè questo è il segno dell’esclusione), le vittime non hanno più la necessità di dirci che non hanno solo bisogno di mezzi e programmi, ma soprattutto di noi. Ciò su cui ho voluto insistere, è che noi non abbiamo inventato nulla. L’idea non è partita da noi. I nostri maestri sono stati loro, i più poveri.

I più poveri, i nostri maestri.

Ci hanno fatto conoscere,in primo luogo, la loro storia. Non si può condividere la vita di una popolazione molto povera, senza comprenderne le esperienze di vita: quelle che i genitori, i nonni,gli avi hanno loro trasmesso.Anche la popolazione non può accettarci a lungo se comprende solo confusamente la propra esperienza di vita. Non comprendersi mutualmente equivale a restare estranei,a non vivere come fratelli. Quando non si comprende ciò che ha vissuto una popolazione, non si comprende neppure ciò che essa pensa e perchè pensa in quel modo. Certamente noi potremmo parlarvi delle ricerche storiche sulla povertà che il Movimento ha realizzato. Ma a voi, amici dell’Africa,dirò che tutto ciò è nato, molto semplicemente, il giorno in cui con un pugno di uomini e di donne in una bidonville della regione parigina,abbiamo cominciato a dire alle famiglie: “Non ci siete che voi, non ci siamo che noi per uscire dalla miseria, insieme. Nessuno ci aiuterà, se non ci aiutiamo tra di noi.Ma per uscirne dobbiamo capirci, per cambiare l’avvenire bisogna conoscere il passato e il presente che esso ha generato, vi preghiamo: raccontateci la vostra storia”.

Chi ci conosce male può pensare che si trattasse di una pedagogia, di una strategia dell’azione. Non è cosi. Noi non avevamo nessun metodo. La situazione era ben al di là di ogni metodo. Avevamo un disperato bisogno di comprendere la storia di quelle famiglie, di entrare anche noi in quella storia per assumerne insieme le lezioni, la sofferenza e,soprattutto, la speranza. Per noi ogni eventuale metodo richiedeva, alla base, comunione e amore…”.

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